Montefalco Rosso di Cesarini Sartori |
Molti considerano il Montefalco Rosso come vino di 'ricaduta' del più famoso Sagrantino, un po' fratello povero un po' realtà incompiuta.
Non conosco il territorio umbro di produzione per saperlo; mi limito quindi ad assaggiare il Montefalco della Cantina Cesarini Sartori senza preconcetti e senza grandi pretese, visto anche il prezzo ampiamente dentro la fascia dei vini sotto i 10 euro.
In realtà questo Montefalco usa un interessante blend di Sangiovese, Merlot, Sagrantino e Cabernet in percentuali che non è dato sapere, ma che immagino variabili a seconda delle annate.
E' un venerdì piovoso dai tratti tipicamente invernali quando scendendo in cantina decido di aprire questa bottiglia, che se ne stava appollaiata tranquilla tra un Sagrantino e un Etna Rosso.
I proprietari della Cantina con base a Bastardo, tra Gualdo Cattaneo e Giano dell'Umbria, raccontano una storia molto sentita negli ultimi anni e cioè quella di persone che hanno un altro lavoro, spesso ricco di riconoscimenti, ma che gli sta stretto.
Decidono così di lasciare tutto per un podere abbandonato in Toscana o in Puglia (in questo caso Umbria) di cui si sono innamorati in maniera quasi casuale, piantano viti dopo attenti studi di zonazione, sistemano cantine e impianti di imbottigliamento, e finalmente dopo 4, 5 o 6 anni arrivano le prime bottiglie, poi i primi riconoscimenti.
Spesso lavorano biologico se non addirittura biodinamico, con o senza certificazioni, sanno usare i social network, si destreggiano tra follower e like, sono spesso in giro a promuovere il loro vini, siano gli Usa o le fiere dei vignaioli indipendenti.
Stappo la bottiglia e verso nel bicchiere un vino rosso rubino impenetrabile.
Al naso ha un complesso bouquet di confettura di mora e ciliegia, amarena sotto spirito e visciole con un sottofondo di incenso dato dal passaggio in botte grande.Decidono così di lasciare tutto per un podere abbandonato in Toscana o in Puglia (in questo caso Umbria) di cui si sono innamorati in maniera quasi casuale, piantano viti dopo attenti studi di zonazione, sistemano cantine e impianti di imbottigliamento, e finalmente dopo 4, 5 o 6 anni arrivano le prime bottiglie, poi i primi riconoscimenti.
Spesso lavorano biologico se non addirittura biodinamico, con o senza certificazioni, sanno usare i social network, si destreggiano tra follower e like, sono spesso in giro a promuovere il loro vini, siano gli Usa o le fiere dei vignaioli indipendenti.
Stappo la bottiglia e verso nel bicchiere un vino rosso rubino impenetrabile.
Al sorso ha una spiccata acidità (forse anche troppa), morbidezza data dall'alcol, note di spezie verdi e un tannino grintoso ma un po' polveroso, con un finale lungo che si apre su note terrose.
A mio avviso è un vino giovane, che può e deve ancora affinare in bottiglia per almeno un paio d'anni.
Si abbina con carni rosse e formaggi stagionati.
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