Ho conosciuto Antonio Terni,
il proprietario della Fattoria Le Terrazze, ad un Vinitaly di qualche anno fa.
Sedeva quasi indifferente,
lamentandosi che la temperatura di servizio non era adeguata; non sembrava
assolutamente interessato a convincerti a comprare i suoi vini.
Sempre semi stravaccato
sulla sedia, ci ha servito un paio di rossi di carattere mentre i miei due amici
sommelier di Latina lodavano i suoi vini come i migliori delle Marche.
Mi ricordo di averli trovati
pieni, materici, essenziali, vini che rispecchiano fedelmente un territorio
fortunato e quasi unico nel suo genere.
Infatti l’influenza del
suolo con le sue componenti calcareo-argillose e calcareo-sabbiose e la
vicinanza al mare con le sue brezze continue, che consentono all’acino di
rimanere sempre asciutto prevenendo quindi la formazione di muffe, rendono il
Conero e i suoi declivi nell’intorno un luogo suggestivo oltre che ideale per
la coltivazione della vite in particolare a bacca rossa.
Il Conero è il punto di
congiunzione tra Sangiovese e Montepulciano, quasi uno spartiacque invisibile
sulla costa Adriatica. Poco sopra regna incontrastato il Sangiovese, poco sotto
inizia a farsi sentire l’influenza del Montepulciano, che pian piano che si
scende verso sud diventa predominante.
A dire la verità Fattoria Le
Terrazze per i suoi vini usa come prodotto di base il Montepulciano, che poi si
diverte ad ammorbidire in un sapiente blend con vini più morbidi come il Syrah
e il Merlot.
Composizione replicata anche
per il Chaos, un vino che in comune con il nome ha il pregio di rompere gli
schemi, la volontà di elevarsi dall’indistinto e nutrito gruppo di vini che
rientrano nella media di quelli che ogni consumatore medio è abituato a bere
nella sua vita.
A mio avviso l’elemento
distintivo oltre ad una materia prima eccellente, è l’utilizzo sapiente del
legno di rovere francese per un periodo che va dai 18 ai 24 mesi.
E se è vero, come mi citava
Trappolini, che ormai la maggior parte dei produttori ha preso ‘la mano’ con il
legno e capisce che non bisogna abusarne, è pur sempre vero che non tutti
ancora lo sanno utilizzare alla perfezione.
Venendo quindi alla degustazione,
al naso risulta complesso, potente ed elegante, giocato sui toni generosi di
frutta surmatura (mora e amarena), a cui si contrappongono note di cuoio e macchia
mediterranea, per terminare su un inizio di note terziarie di cuoio e caffè.
Già ottimo nella fase
olfattiva, si supera in quella gustativa, con un sorso pieno, rotondo,
scattante e minerale, dall’importante apporto sapido-marino, mentre sul finale
tornano le note erbacee e mediterranee ritrovate al naso, su un finale è di
giusta lunghezza.
Nel complesso possiamo
considerarlo un vino che riesce a stento a controllare una innata esuberanza,
un caos tenuto sapientemente sotto controllo da mani esperte.
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