Albino Armani fa parte di diritto nella stretta cerchia
delle cantine italiane che pensano al vino a 360 gradi, quindi non solo come massimizzazione
del profitto ma anche come territorio da valorizzare, attraverso un concetto di
estetica che si intreccia inevitabilmente con il rispetto dell’ambiente e delle
persone.
Il progetto è ambizioso, ma quando si hanno le idee chiare diventa tutto più facile e per Albino Armani la ricetta consiste nel non lasciare nulla
al caso, ma all’opposto avere una attenzione e cura per ogni aspetto che
riguarda la cantina o che ruota intorno ad essa o ne è parte integrante.
Il tutto parte da una filosofia enologica ben definita che
lo porta a produrre anno dopo anno vini territoriali, senza forzature, in cui
puoi riconoscere un territorio di appartenenza ben definito.
Ne è un esempio il Foja Tonda, vitigno per anni dimenticato
a favore di varietà internazionali più richieste dal mercato, in cui Albino
Armani ha saputo credere anche per favorire un concetto di biodiversità, fino
alla produzione di una bottiglia da monovitigno di cui ho parlato in un mio
recente post http://bit.ly/2w5fF5E
Questa volta parliamo invece di un metodo classico prodotto con
uve Pinot nero e Chardonnay, maturate vicino ai boschi di Maso Michei, nelle
Dolomiti trentine in alta Valle dei Ronchi.
Ronchi di Ala si raggiunge sull’unica strada che sale piano
ma costante dal comune di Ala, dalla valle dove scorre placido l’Adige, fino a
questa minuscola frazione circondata da un bellissimo paesaggio montano.
Siamo a 800 m. di altitudine e le vigne si arrampicano sui
pendii terrazzati sfruttando al massimo tutte le pendenze coltivabili.
Inutile dire che in questo paradiso che si divide tra il
cielo, le montagne e la maestosa Val d’Adige il microclima è prettamente
montano, con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte.
L’uva è raccolta a mano da un piccolo vigneto posto a 823 metri
di altitudine, con punte che arrivano ai 900 mslm, su un terreno complesso e
variegato formato da marna e calcare.
La produzione è poco più che artigianale visto che si parla
di 2000-3000 bottiglie ad annata.
Dopo la vendemmia, viene effettuata una pressatura soffice
dell’uva, da cui si ottiene un fiore che fermenta in piccoli vasi di cemento; successivamente
riposa sui lieviti di prima fermentazione fino alla primavera.
Segue il tiraggio con l’aggiunta di lieviti selezionati e
zuccheri dove riposa per 24 mesi, prima della sboccatura e l’aggiunta di una
piccola dose di liqueur d’expedition.
Il perlage è fine e persistente, mentre il naso presenta
delicate note floreali con l’aggiunta di agrumi e crosta di pane.
In bocca è cremoso, denso, con la piacevole scossa data
dalle finissime bollicine di anidride carbonica, con acidità sugli scudi e
dalla rimarchevole eleganza.
Il finale pulito, lungo e salino ne esalta e completa l’eleganza
ma anche l’equilibrio.
Nel complesso è un vino ben studiato e tecnicamente
perfetto, senza sbavature e con una verve non scontata.
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