ll miglior modo per
valorizzare un territorio in ambito vitivinicolo è quello di coltivare vitigni
autocnoni, quindi l'uva che per ragioni storiche e pedoclimatiche si è meglio
adattata ad un certo territorio e che riesce a dare il meglio della sua
produzione quasi esclusivamente in quella zona.
E il Friuli Venezia Giulia, accanto alle adattabili uve internazionali, ha da sempre puntato moltissimo sulle varietà autoctone, come ribolla gialla, friulano, verduzzo, malvasia istriana tra i bianchi e refosco, tazzelenghe, schioppettino, raboso tra i rossi.
E il Friuli Venezia Giulia, accanto alle adattabili uve internazionali, ha da sempre puntato moltissimo sulle varietà autoctone, come ribolla gialla, friulano, verduzzo, malvasia istriana tra i bianchi e refosco, tazzelenghe, schioppettino, raboso tra i rossi.
Tra questi ultimi non nascondo una certa simpatia e
predilezione per un vitigno dalla lunga storia come il Refosco dal Peuncolo
Rosso, un vitigno molto coltivato in Friuli, dove raggiunge ottimi risultati in
particolare tra il Tagliamento e Livenza, nei terreni argillosi e pesanti
tipici di questa area alluvionale.
Al tempo dei romani era già coltivato e apprezzato nella zona di Aquileia, cittadina fondata nel II secolo a. C., anche se di certo a quell'epoca il vino era molto diverso da quello che oggi ci ritroviamo in tavola e a questo proposito basti pensare alla anfore utilizzate per la fermentazione, stoccaggio e trasporto del vino, ora utilizzate da alcuni produttori (guarda caso friulani) come Josko Gravner, ma con tecniche di produzione, lavorazione e conservazione ben diverse.
Al tempo dei romani era già coltivato e apprezzato nella zona di Aquileia, cittadina fondata nel II secolo a. C., anche se di certo a quell'epoca il vino era molto diverso da quello che oggi ci ritroviamo in tavola e a questo proposito basti pensare alla anfore utilizzate per la fermentazione, stoccaggio e trasporto del vino, ora utilizzate da alcuni produttori (guarda caso friulani) come Josko Gravner, ma con tecniche di produzione, lavorazione e conservazione ben diverse.
Il clima in questa zona è mite, con discrete
escursioni termiche tra il giorno e la notte che ne esaltano i profumi e con i
venti freddi di 'bora' che consentono di tenere asciutti gli acini e di evitare
marciume e muffe (con conseguente assenza dell'utilizzo di prodotti chimici per
scongiurare l'insorgenza di tali problemi).
Come tutti sanno il Refosco dal peduncolo rosso è così chiamato perché il pedicello che sostiene l'acino si tinge di colore rosso poco prima dell'inizio della vendemmia, rendendo quest'uva, tra l'altro ricca di pruina e quindi di lieviti autoctoni, facilmente riconoscibile.
Come tutti sanno il Refosco dal peduncolo rosso è così chiamato perché il pedicello che sostiene l'acino si tinge di colore rosso poco prima dell'inizio della vendemmia, rendendo quest'uva, tra l'altro ricca di pruina e quindi di lieviti autoctoni, facilmente riconoscibile.
Ho assaggiato di recente il Refosco di Volpe Pasini, azienda assai conosciuta di Torreano, in provincia di Udine, con quattro secoli di storia alle spalle e da un ventennio di proprietà di Emilio Rotolo, imprenditore calabrese che si è presto innamorato dell'azienda e con la collaborazione di un enologo di qualità come Lorenzo Landi ha saputo far crescere fino agli attuali 50 ettari di vigneto e 350.000 bottiglie prodotte.
Il loro Refosco, annata 2014, è molto fruttato con evidenti sconfinamenti verso la dolcezza dell'amarena, la freschezza dei piccoli frutti rossi e qualche accenno di balsamico in sottofondo.
Il sapore è teso, lievemente tannico, salino quanto basta, equilibrato e perfettamente in linea con le sensazioni olfattive.
Buona la persistenza e molto buono il rapporto qualità-prezzo.
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