Devo ammetterlo: il Pinot Grigio è un vino che ho
deliberatamente sottovalutato, reconditamente bistrattato, forse anche poco
capito; in poche parole non me lo sono mai del tutto filato.
Occorre anche dire che sono sempre stato in buona compagnia
visto che trattasi di un vino che ha avuto un discreto successo negli anni ’80 sia
in Italia che all’estero, per subire negli anni successivi un continuo e
inesorabile declino a favore di altri vitigni più di moda.
E’ nato tra Francia e Germania, ma si è ben acclimatato sia
in Italia che in Alsazia, Oregon e California, dove a metà degli anni ‘90 ha
avuto una sensibile impennata di popolarità tra i produttori prima e tra i
consumatori poi, fino ad arrivare ad essere il vitigno più coltivato e il vino
più venduto.
E’ finito quindi di diritto tra i cosiddetti vitigni internazionali
come Pinot nero, Merlot, Syrah, Chardonnay, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon
e Sauvignon Blanc e alcuni altri che potremmo considerare minori, ma pur sempre
molto diffusi in vari paesi e a varie latitudini.
Ma a differenza degli altri vitigni internazionali il Pinot
grigio, pur essendo molto diffuso, da origine a vini piuttosto diversi tra loro
a seconda della zona di produzione.
In Italia è coltivato prevalentemente in Veneto, Friuli e
Alto Adige e i vinificatori tendono a produrlo puntando giustamente sulle basse
rese e talvolta a contatto con le bucce, dando al vino quell’inconfondibile
colore ramato che è spesso una sorpresa nel bicchiere.
Le caratteristiche comuni o che comunque ci si aspetta
solitamente di incontrare (parlo di sommelier sulla carta o sul campo o
presunti tali) in un Pinot Grigio, sono quelle di note più o meno intense e
complesse di fiori di campo e frutta a pasta bianca, buona acidità e
persistenza nella media, senza punte eccessive.
Tutto questa introduzione mi serviva a me per ripassare (e a
voi pure), oltre che per poter meglio apprezzare il Pinot Grigio in generale e
il Mongris di Marco Felluga in particolare.
Marco Felluga che, per chi non lo sapesse, non è il fratello
povero di Livio ma un produttore di tutto rispetto di Gradisca d’Isonzo, con
sessant’anni di esperienza alle spalle, successivamente fatti fruttare anche
con l’acquisto della tenuta Russiz Superiore in quel di Capriva del Friuli.
I suoi prodotti sono sempre tecnicamente ben fatti, dall’elevato
rapporto qualità-prezzo, proprio come il suo Mongris annata 2016, vino il cui 30% della massa
matura in botte per alcuni mesi, mentre il resto è affinato in acciaio.
Nel bicchiere si presenta con un Giallo paglia brillante, una
fragranza tipica al naso che si dipana in delicati ma pieni sentori di pera,
mandorla e fiori di campo.
Salino, pieno, di buona struttura e ottima persistenza sul
palato, ma soprattutto dalla bevibilità immediata e quasi insensata visto che
appena messo a tavola ‘i soliti astemi’ lo hanno terminato in un amen.
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