Quella del Moscato d'Asti è una storia di rinascita vitivinicola come poche se ne possono raccontare, da vino di grandi quantità per uso commerciale e relegato ad un consumo tipicamente festivo, a vino di pregio e finezza indiscutibili, partendo come spesso succede da un ridotto manipolo di piccoli, coraggiosi e visionari produttori.
La zona di produzione del Moscato d'Asti è vasta e ricopre tre provincie, Alessandria, Cuneo e Asti, ognuna con le sue caratteristiche di terreno, microclima, esposizione, pendenze, ma allargando la visuale semplicemente al vitigno 'Moscato bianco', lo potremmo sorprendentemente ritrovare un po' in tutta Italia, praticamente da Bolzano a Trapani, passando per numerose provincie del centro Italia.
Tuttavia restringendo il campo tra i più interessanti luoghi d'elezione del Moscato troviamo senza dubbio Santo Stefano Belbo in provincia di Cuneo, Canelli nell'astigiano e Strevi nell'alessandrino, e in questi due ultimi areali si può quasi parlare di monocultura.
In generale il Moscato bianco predilige terreni marnosi e sabbiosi, ma soprattuto alcalini, quindi possibilmente poco acidi, ed è sensibile a malattie come la peronospora e all'oidio.
Ritornando alla rinascita del Moscato, a partire dalla metà degli anni '60, accanto a giganti produttivi da milioni di bottiglie come i Gancia e i Martini e Rossi, hanno iniziato a farsi strada con una filosofia produttiva basata sulla qualità, alcuni piccoli ma agguerriti produttori che da qualche tempo hanno incominciato a raccogliere i frutti di questa vera e propria rivoluzione in vigna e cantina.
Tra questi c'erano sicuramente i soci fondatori de I Vignaioli di Santo Stefano Belbo, formati dai fratelli Ceretto, la famiglia Scavino e Sergio Sante, che nel 1976 hanno deciso di investire in una produzione che alla qualità ha saputo abbinare i numeri da media azienda, con 25 ettari di proprietà disposti tra Santo Stefano Belbo, Canelli e Calosso.
Le parole chiave di questa produzione, oltre alla coltivazione del Moscato bianco su di terreni vocati e con buona esposizione, sono quelle della limitazione di chiarifiche, travasi e filtrazioni al fine di mantenere il più possibile intatto il corredo aromatico dell'uva portata in cantina.
Il colore nel bicchiere incanta per un vivissimo giallo paglierino brillante.
Al naso ha grande pulizia e chiarezza aromatica, su tutto mela renetta, melone, albicocca, oltre a delicati richiami di salvia.
Ha gusto intenso, agrumato, un sorso tipico, polposo e croccante con buona spinta acida ed equilibrio da manuale, che non permette di stancare il palato.
Anche su finale non delude per lunghezza e richiami aromatici, fruttati e floreali.
Un ultimo accenno merita la bella, elegante, originale bottiglia firmata dal designer Giacomo Bersanetti, una specie di rivisitazione di una renana, e l'etichetta che ricorda una mezza luna dal colore giallo moscato.
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