Chianti di Castellare |
Non sono tanti i vini che bevo due volte, ma il Castellare di Castellina Chianti Classico è una garanzia di un buon vino da tavola e quando, in un pigro girovagare pre-natalizio all'Esselunga, me lo sono ritrovato davanti, è risultato praticamente automatico infilarlo nel carrello e uscire dal supermercato di Caprotti, con un ghigno di malcelata soddisfazione.
Infatti il Castellare è un Chianti dallo straordinario rapporto qualità-prezzo, che negli anni non si è fatto ammaliare dalla possibilità, prevista dal disciplinare, di utilizzare vitigni come il Merlot e il Cabernet, sia per renderlo pronto in tempi più rapidi, sia per ottenere un vino più piacione e gradito a livello internazionale.
Qui possiamo trovare solo Sangioveto e Malvasia nera al 10%, coltivati a Castellina in Chianti, paesino di poco meno di 3.000 anime, mentre tutto intorno si estendono vigneti perfetti, delicatamente pettinati su colline a perdita d'occhio, con qualche cascinale solitario a fare da guardiano su un paradiso di serenità per occhi e mente.
La storia di Castellina in Chianti corre parallela a quella di Paolo Panerai, eclettico giornalista e imprenditore del settore editoriale, che si è innamorato della terra e che ne ha per tempo intuito le potenzialita' di crescita e guadagno.
Dalla stessa proprietà e dagli stessi terreni vengono prodotte ogni anno circa 30.000 bottiglie dei Sodi di S. Niccolo', vino che negli ultimi anni è spesso rientrato nei 100 vini migliori del mondo secondo Wine Spectator.
Ma bando alle chiacchere, torniamo a quello che più mi interessa, ovvero questa bottiglia di Chianti, annata 2011, dove sull'etichetta compare un esile e variopinto Gruccione, uccello che arriva in aprile e riparte in ottobre ma che è sempre più difficile ritrovare nei vigneti per l'uso indiscriminato di prodotti chimici che uccidono gli insetti di cui si nutre (cicale, coleotteri e libellule). Prodotti chimici che nelle vigne di Castellare sono rigorosamente banditi, come spiega sempre meticolosamente il furbo marketing che parla dall'etichetta.
Ma noi che del marketing siamo tutti improbabili figli, ne prendiamo atto e un po' ne sorridiamo e passiamo all'analisi visiva e gusto-olfattiva, con il nostro inutile bagaglio di termini da sommelier e la molto più utile esperienza sul duro campo di battaglia giornaliero, fatto di centinaia di bottiglie bevute.
Il colore è rosso rubino da manuale, con qualche riflesso porpora.
I profumi sprigionano un vivace bouquet di frutta rossa, matura e croccante, mirtilli, ciliegie, more, con una leggera speziatura finale.
Il sorso è pieno ed equilibrato, ma se devo dire la verità mi aspettavo o ricordavo tannini più risoluti, invece riscontro una trama tannica un po' troppo vellutata per il mio personale gusto.
Anche l'allungo finale si spegne troppo presto, tanto che non concordo con nessuna delle recensioni di colleghi (si fa per dire) blogger che trovo in rete.
E addirittura non concordo nemmeno con me stesso .... nell'assaggio effettuato due anni fa e riportato in questo blog (11 ottobre 2013).
Ma questo sta a dimostrare che ogni annata e spesso ogni bottiglia ha una sua personalissima storia, che fa di questa bevanda la più straordinaria, interessante ed eterogenea che ci possa essere sulla terra.
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