Santa Barbara di Stefano Antonucci è una azienda all'avanguardia nel panorama vitivinicolo italiano, in forte crescita, con continui investimenti produttivi e di rinnovamento della proposta commerciale e con uno sguardo attento ai mercati esteri come Cina, Giappone e Brasile che le hanno consentito di superare brillantemente la crisi dei consumi italiana ed europea.
Con l'aiuto dell'enologo Luigi Lorenzetti, Antonucci ha costruito una azienda da 650.000 bottiglie l'anno, partendo da Barbara in provincia di Ancona, su terreni argillosi collocati a 250 mslm e buona esposizione.
I vini di punta dell'azienda sono il Mossone, un sontuoso Merlot in purezza, il Pathos un blend bordolese che vince regolarmente i 5 grappoli Bibenda, e un Verdicchio riserva che Luca Gardini ha inserito nella sua classifica dei migliori 50 vini d'Italia entro i 15 euro.
Ho trovato il Pignocco in enoteca e mi ha intrigato per il singolare uvaggio utilizzato.
Nel bicchiere è indiscutibilmente rubino, anche se alcuni riflessi violacei ne solcano la superficie.
Ha un naso intenso di amarena, prugna, pepe, tabacco e un pizzico di vegetale che si fa largo a stento nella complessità e intensità olfattiva.
In bocca è un vino unico, dovuto a questo uvaggio stranissimo di Moscato rosso, Lacrima di Morro d'Alba, Cabernet, Merlot e Montepulciano in percentuali variabili ma dove il Lacrima si sente subito per quel suo inconfondibile sapore di piccoli frutti rossi come i mirtilli, more, violetta, fragolina di bosco, che vanno ad attenuare la ruvidità del Montepulciano. Abbastanza strano anche l'utilizzo del Moscato rosso, oggi quasi introvabile che dovrebbe garantire aromi dolci e morbidezza al vino, mentre il Cabernet Sauvignon dona quella vena vegetale che ho riscontrato anche al naso.
I tannini si sentono ma non sono ingombranti e il finale è discretamente lungo.
Questo vino tenderei quasi a definirlo un Lacrima particolare, con un finale un po' troppo morbido secondo il mio gusto.
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