Quando si parla di vini georgiani, basta guardare un po’ in
rete, si rischia sempre di sfiorare due estremi.
Da una parte il blogger enofighetto (spesso un povero
sfigato), che se la tira perché a differenza della comune massa di appassionati
che non fanno altro che bere ettolitri di Barbera e Sangiovese (oltre agli
immancabili tagli bordolesi ….. e nei casi più disperati pure il Gutturnio
piacentino), beve vini georgiani, affinati in anfora, con lunghe macerazioni
sulle bucce, non filtrati e naturalmente biodinamici, di produttori dai nomi
impronunciabili ma pur sempre (per lui) con un fascino irresistibile.
Dall’altra il blogger cazzuto, quello la cui missione nella
vita è cantarle di santa ragione a produttori, sistema viticolo nel suo
complesso e altri enoblogger della domenica. Nel suo caso i vini georgiani alla
meglio possono essere usati come sturalavandini … ma visto il prezzo non ne
vale neanche la pena parlarne.
Spesso sono sgraziati, se c’è del vegetale è marcio, se c’è
della liquirizia come minimo è scaduta da un pezzo e poi non parliamo dei tannini,
la carta vetrata al confronto è più delicata al palato.
In mezzo a queste contraddizioni cercherò quindi di avere la
massima obiettività possibile senza cadere in uno dei due estremi sopra citati.
Si perché anche Baccanera ha finalmente assaggiato il suo
primo vino georgiano.
Molti sanno o hanno sentito dire che il vino è nato in
Georgia in un tempo imprecisato che può essere fatto risalire a 5.000 – 8.000
anni fa e che come contenitore usavano delle anfore in terracotta sotterrate
nel terreno, tecnica poi riutilizzata da diversi produttori soprattutto
friulani.
La realtà a mio parere è che i vini georgiani vivono al contempo
le contraddizioni di nazione culla del vino mondiale ma anche di nazione che
per anni è rimasta indietro rispetto ai progressi nelle tecniche di
vinificazione che il mondo del vino ha sperimentato negli ultimi 30-40 anni.
I produttori, spesso piccoli e con pochi capitali, non sono
quindi ripartiti dal cercare semplicemente di fare un buon vino e basta, ma
hanno scelto la strada della differenziazione legata alla loro storia
ancestrale.
Ad una cena dei ‘soliti astemi’, ho quindi portato, non
senza un minimo di apprensione e di molti convenevoli, un vino georgiano
prodotto con uve Saperavi, vitigno autoctono fortemente tintoreo e scarsamente
produttivo, particolarmente adatto a climi freddi e secchi della montagna
georgiana.
Il colore è appunto di un rosso-nero, fortemente
impenetrabile.
I profumi si districano tra un primo impatto vegetale che
tende all’erbaceo, più un mix di frutti a bacca rossa e nera che si concentrano
fitti, per poi lasciare spazio ad una nota appena accennata di liquirizia.
Al palato è ben centrato e teso, con una buona dose di
freschezza, un alcol poco invadente e un corpo forse un po’ scarso rispetto
alle sensazioni provate al naso.
In questo tipo di vino non ti aspetteresti dei tannini
eleganti e …. infatti sono forse un po’ ruvidi ma appunto centrati rispetto al
tipo di vino.
E’ un vino semplice, forse non del tutto aggraziato ma nel
complesso piacevole, dinamico e soprattutto particolare, molto particolare.
Il prezzo intorno ai 15 euro è sicuramente eccessivo
rispetto alla vera qualità del vino (anche se non dimentichiamoci che è un vino
importato) o comunque eccessivo se lo vogliamo confrontare con molti nostri vini
di quella fascia di prezzo.
Tuttavia a mio parere è un vino che vale la pena provare e,
se avete amici curiosi e naturalmente disposti ad assaggiare qualcosa di diverso,
potete prenderlo senza rischiare brutte figure.
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