Vuillermin di Institute Agricole Regional |
Il Vuillermin, questo sconosciuto.
Questo vitigno autoctono valdostano si può davvero considerare raro e pochissimo conosciuto al di fuori della sua regione di origine, ovvero la Valle d'Aosta; ha rischiato più volte l'estinzione fino a quando, all'inizio del duemila, alcuni anziani contadini lo hanno segnalato a Giulio Moriondo, brillante enologo e biologo specializzato nello studio ampelografico della vite sulle Alpi.
Nel frattempo il rinato interesse per i vitigni autoctoni rari italiani ha spinto alcuni visionari e coraggiosi imprenditori a impiantare in via sperimentale nelle loro vigne questo vitigno che ha un certo grado di parentela con il Fumin e il Mayolet (altro vitigno valdostano piuttosto raro).
E vale la pena citarli tutti questi produttori che hanno scelto di coltivare e imbottigliare in purezza il Vuillermin: Bosc Mario, Giulio Moriondo, Diego Curtaz, Feudo di San Maurizio e l'Institute Agricol Regional di Aosta.
Proprio di quest'ultimo produttore, in una bellissima serata in buona compagnia e con un abbinamento che si rivelerà azzeccatissimo, ho avuto finalmente l'occasione di assaggiare una bottiglia di Vuillermin, annata 2013.
Le peculiarità di base dei vitigni valdostani sono accentuate dal particolare microclima della Valle d'Aosta con i suoi inverni siccitosi, le estati tiepide e le stagioni intermedie con le tipiche escursioni termiche delle valli di montagna, con mattine fresche, pomeriggi caldi e assolati e notti fredde che portano l'uva a concentrarsi di sostanze polifenoliche in grado di arricchire il bicchiere di profumi intensi e complessi.
In Valle d'Aosta è naturalmente prevalente la cosiddetta 'viticoltura di montagna', una viticoltura se non eroica è di sicuro faticosa, costosa e complessa per l'impossibilità di utilizzare strumenti meccanizzati in vigna e per la particolare cura del terreno che deve sempre essere tenuto in perfette condizioni anche attraverso la costante manutenzione dei muretti a secco.
Da una pluralità di condizioni estreme non poteva che nascere un vino di grande carattere e tipicità.
E infatti diciamo subito che da questo vitigno si genera un vino con una buona struttura e una personalità tutt'altro che scontata, un'autentica sorpresa se consideriamo che stava per scomparire nell'oblio vitivinicolo e per il quale non è difficile prospettare un futuro di importante crescita produttiva e di visibilità.
E' finalmente arrivato il momento di assaggiarlo e nel bicchiere trovo un vino dall'abito rosso rubino piuttosto impenetrabile.
Il naso è complesso e variegato, appagante, pieno, con note di terra bagnata, humus, viola, pepe nero, un principio di note terziarie con il cuoio, infine chiude con un lieve accenno di tabacco.
Se le premesse al naso sono ottime la bocca non delude le aspettative.
Il sorso è di buona complessità, con trama tannica fitta e quasi esuberante, un principio di funghi secchi, per poi virare su muschio e fieno, il tutto sempre in equilibrio perfetto tra le varie componenti.
Autentica sorpresa anche l'abbinamento con fegatini di pollo, polenta e pane tostato preparati dallo strepitoso Chef Fabrice, in un matrimonio perfetto tra ruvidezza ed eleganza tra vino e piatto di territorio.
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