La storia inizia nel 1761 quando Bartolomeo Borgogno fonda la cantina e da inizio alla produzione vitivinicola, passando per quasi due secoli di tranquilla quotidianità contadina, interrotta dalle innovazioni e intuizioni di Cesare Borgogno, nato nel 1900 e che nel 1920, giovanissimo, prende le redini della cantina, oltre a dare un impulso fondamentale a tutta la storia del Barolo di Langa.
Alla sua morte la conduzione passa alla nipote Ida, che con il marito e i figli traghetta l'azienda nell'epoca moderna, fatta di premi e riconoscimenti, espansione internazionale, sfide quotidiane, cambiamenti climatici e di gusti mutevoli dei consumatori.
Nel 2008 la svolta arriva con l'acquisto della famiglia Farinetti, seguita direttamente dal figlio Andrea dal 2010.
Borgogno in vigna ha scelto una conduzione agronomica che si definisce convenzionale solo perché manca la certificazione biologica ufficiale, che dovrebbe arrivare nel 2019, ma che a tutti gli effetti si sostanzia nel non utilizzo di concimi chimici e diserbanti e si limita ai classici trattamenti sostenibili (rame e zolfo).
Utilizza solo cemento per la fermentazione dei vini e dal 2016 ha aggiunto 11 ettari ai già presenti 20 ettari, tra cui si possono annoverare dei cru come Cannubi e San Pietro delle viole.
In cantina i vini vengono prodotti come una volta, quindi non vengono usati lieviti selezionati, enzimi o proteine.
Le fermentazioni sono lunghe e spontanee, con frequenti follature del cappello e rimontaggi.
In poche parole i Barolo di Borgogno, nonostante il cambio di proprietà, sono rimasi classici e tradizionalisti.
Una scelta che a mio parere è doverosa e i cui positivi effetti si possono riscontrare solo nel lungo periodo.
Il Barolo di Borgogno si esprime nel bicchiere con forza e semplicità, con i tipici sentori di frutti rossi maturi, erbe balsamiche e note di tabacco appena accennate.
In bocca il tannino è nobile e il sorso potente, strutturato, fresco e lunghissimo.
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