Ebbene si, alle volte anche se non si è perfetti si può stupire più ancora rispetto a chi alla perfezione è naturalmente portato o che ha tanto faticato e studiato per arrivarci.
E' il caso del Khamma, passito di Pantelleria di Salvatore Murana, che non riesce ad essere perfettamente equilibrato nelle sue varie componenti gusto-olfattive, eppure mi ha stupito e mi è rimasto nella memoria come uno dei migliori passiti che abbia mai assaggiato.
Innanzitutto è uno di quei vini estremamente territoriali che mi piacciono da subito, dal primo sorso. Che poi territoriale significa per me che un vino sappia esprimere pienamente un territorio complesso e variegato come l'isola di Pantelleria, con il suo territorio di origine vulcanica con le sue acque calde e i soffioni di vapore, le colate laviche che si tuffano nel mare azzurro intercalato dai faraglioni, i muri a secco utilizzati per bonificare il terreno dalle pietre e per delimitare le proprietà, il vento che spesso si mostra deciso e il mare fino a perdita d'occhio.
Soprattutto nella bella stagione la pioggia può farsi attendere diversi mesi e qui la vite coltivata ad alberello cresce in condizioni estreme, soffre e concentra tutto lo sforzo nella produzione di pochi preziosi acini bruciati dal sole del Mediterraneo.
E il Khamma sembra avere un'anima imperfetta che esprime al contempo la bellezza e la fatica del territorio.
Nel bicchiere svela un giallo oro giallo ambrato di una bellezza piena e seducente, che ricorda un caldo tardo pomeriggio di fine giugno, quando la luce sembra non volersene mai andare e il tramonto arriva pigro a rinfrescare l'arsura di un giorno di sole.
I profumi sono intensissimi, partendo dai fichi secchi e dai datteri, si dipanano su delicate note di miele di castagno, poi salvia, rosmarino, poi una vena salina per finire su accenni smaltati.
In bocca scopre la sua sublime imperfezione con una spinta dolce prevaricante rispetto a sapidità e freschezza, che comunque si avvertono ma che non riescono a compensare l'esuberanza di note di albicocca secca e frutta dolce sotto spirito.
In un vino qualunque si potrebbe definire poco equilibrato ma nel Khamma questo difetto diventa un punto di forza, una nota di vitale sublimazione per il palato.
Inutile dire che il finale è chilometrico e perfetto con la sua chiusa intensamente minerale.
Chapeau.
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