Francesco Valentino Dibenedetto è il proprietario di Archetipo, azienda agricola di Castellaneta (Puglia) che segue i dettami dell'agricoltura sinergica.
Dopo l'agricoltura biologica, e quella biodinamica talvolta confusa con il termine Vegan, oggi abbiamo pure (e non lo sapevamo) l'agricoltura sinergica.
Che cos'è l'agricoltura sinergica però non è di difficile interpretazione e viene bene spiegato dalla stessa azienda sul proprio sito internet.
Infatti dopo vent'anni di agricoltura biologica e cinque di agricoltura biodinamica, l'Archetipo è riuscita a portare i propri terreni ad una situazione di equilibrio che, in termini tecnici, viene appunto definita agricoltura sinergica.
E ancora meglio un sistema o ecosistema può considerarsi in equilibrio solo se non presenta picchi di sviluppo di un essere vivente sugli altri.
L'azienda non pratica l'aratura dei terreni per non andare a destabilizzare il contributo naturale della natura sui terreni e la filtrazione per evitare di scartare il corredo enzimatico e proteico del vino, mentre viene praticata la 'controspalliera libera', ovvero si evita la defoliazione della vite lasciandola crescere in totale libertà.
Vengono utilizzati solo lieviti autoctoni grazie alla microflora naturale e intatta contenuta sulla buccia e nella polpa dell'uva.
Questa premessa è fondamentale per comprendere (poi si può esserne d'accordo o meno ma questo è un altro discorso) meglio i vini di Archetipo, che può disporre di 20 ettari di vigneto, a 320 mslm ai piedi della murgia barese.
Vengono coltivati vitigni autoctoni come Primitivo, Greco, Fiano pugliese, Susumaniello, Marchione, Maresco, Verdeca, per una resa di circa 60-70 q/ha.
Acquistato e consigliato da un fidato enotecario, da trent'anni appassionato del suo lavoro e sempre alla ricerca di nuovi prodotti, ho assaggiato il loro Litrotto.
Si tratta di un blend di Verdeca (50%), Falanghina, Marchione e Fiano, cresciuto su terreno limoso e argilloso con notevole presenza di pietrisco siliceo e humus. derivante da una vigna di 5 ettari con età media delle viti di 22 anni.
La fermentazione avviene grazie ad una piccola massa di uva raccolta 10 giorni prima, che assicura un concentrato di lieviti autoctoni, in grado di far partire la fermentazione al posto dei lieviti selezionati.
La fermentazione è svolta a basse temperature per circa due mesi, poi mantenuto sulle fecce nobili per 5-6 mesi, e messo in bottiglia senza nessuna chiarifica o filtrazione.
Al naso risulta complesso e delicato al contempo, grazie a delle note di fiori bianchi che si alternato e quasi litigano con sentori più complessi di biancospino, frutta a polpa bianca ed erbe aromatiche.
In bocca presenta una consistente spalla acida, ma nel complesso risulta anche ben bilanciato e di grande bevibilità.
Rispecchia bene la territorialità della Murgia barese anche se nel complesso sembra quasi incompiuto.
Viste le premesse (Rudolf Steiner, agricoltura biologica ecc) mi aspettavo forse qualcosa di più, anche se si percepisce netta la nota distintiva (più al naso che sul palato) e una certa organicità del vino.
Mi ripropongo di provare altri prodotti dello stesso produttore prima di farmi un giudizio definitivo.
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