Il Rossese di Dolceacqua è senza dubbio uno dei rossi d'Italia più interessanti e nel contempo più sottovalutati.
In parte è sicuramente dovuto alla produzione quasi artigianale in termini di quantità di molti produttori, che quindi impedisce al vino una adeguata diffusione fuori dal territorio di produzione.
Ci sono tanti vini che nel corso della nostra comunque fortunata vita non avremo modo di bere o perchè veramente rari o perchè prodotti dall'altra parte del mondo oppure semplicemente perchè inarrivabili in termini di prezzo.
Tuttavia lasciarsi scappare un Rossese di Dolceacqua è un vero peccato, anche e soprattutto per le peculiarità quasi uniche di questo vitigno.
Viene coltivato in una zona di confine tra Italia e Francia, nell'estremo lembo orientale della Liguria, su colline che degradano verso il mare, a 500-600 metri di altitudine e protette da vette ben più alte (Alpi Liguri).
Una situazione pedoclimatica sicuramente molto particolare, che influenza in maniera decisiva la vite delle tre vallate dove il Rossese viene coltivato, Val Nervia, Val Verbone e Val Borghetto.
Il Rossese è quasi sempre prodotto in purezza anche se il disciplinare consente l'utilizzo fino ad un massimo di 5% di altre uve.
E' un vino difficile, scontroso, se non riceve le giuste cure non è come un Cabernet che comunque si può bere; no in questo caso vedrà la luce un vino posticcio, sgraziato, con troppo tannino o troppo estratto o con un frutto cupo e amarognolo.
Ma i produttori della zona ormai conoscono bene il loro vitigno, come si comporta, cosa vuole, la sua naturale scontrosità che si fa modellare solo da chi conosce questi luoghi da sempre.
Dopo questa doverosa apertura di natura tecnica ringrazio l'amico Paolo che, in vacanza da quelle zone, me ne ha portata una bottiglia.
Si tratta dell'azienda agricola Caldi e loro Rossese sviluppa sentori e sapori tipici di questo vitigno.
Un naso quasi nordico di pino, resina e muschio, che tende a spostarsi verso nuance di scorcia d'arancia, frutti di bosco e pepe bianco, per finire con erbe officinali e mentuccia.
Il palato è intenso, quasi infinito nel suo nerbo acido, di buon impatto su una fitta trama tannica, solo leggermente ruvido, o forse direi più rustico.
Nei ripetuti assaggi evolve in un frutto polposo che sa di liquirizia, con una struttura ben combinata di alcol e freschezza, su un finale lungo e leggermente amarognolo che ricorda il rabarbaro.
Insomma un vino molto interessante, proposto a prezzi assolutamente accettabili e non impossibile da trovare.
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