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Un Barbaresco che sfida i Barolo: Rabajà di Giuseppe Cortese, annata 2009



Nonostante il continuo allenamento all'assaggio e la capacità di saper apprezzare anche vini molto diversi tra loro, tipica di chi ha fatto il corso di sommelier, ogni appassionato di vino ha le proprie debolezze o inclinazioni.
Spesso si tratta di prodotti di nicchia, vini per pochi intenditori che vogliono rimanere una elite, vitigni da poco riscoperti e che comunque hanno spesso una diffusione poco più che locale (Vitoska, Vuillermin ecc)
Altre volte si tratta di vitigni internazionali prodotti nelle zone storicamente più vocate o al contrario in territori inusuali ma dove in modo quasi sorprendente si rivelano particolarmente adatte alla loro coltivazione per opera di qualche testardo produttore (Sassicaia, Montevetrano ecc)  

Per quanto mi riguarda riconosco la mia particolare, sconfinata passione per il Barbaresco, un vino preciso, dinamico, territoriale, in grado di abbinare l'eleganza con l'intensità e con una personalità che alle volte fatica a rimanere nei ranghi di eterno secondo dietro l'immancabile parente più famoso: sua maestà il Barolo.
Tuttavia a mio personalissimo avviso ci sono dei Barbaresco che possono tranquillamente considerarsi alla pari (se non in molti casi superiori) al più rinomato vino piemontese.
  
E' questo ad esempio il caso del Barbaresco Rabajà di Giuseppe Cortese, un vino semplicemente strepitoso, in grado di competere alla pari con i più grandi vini italiani, senza andare a scomodare improbabili raffronti internazionali.
La collina denominata Rabajà è il cru più pregiato della zona e qui nasce il Barbaresco di Cortese, da vigne vecchie di Nebbiolo, su quattro preziosi ettari di terreni calcarei esposti ad insolazione ottimale per raggiungere nel giusto periodo la maturità fenolica.
Il vino passa dai 20 ai 22 mesi in botti di rovere di Slavonia di varie dimensioni, poi altri 10 mesi in bottiglia prima di essere commercializzato.
Il 'tradizionalista' Giuseppe Cortese, è uno che i vini li sa e li vuole aspettare e che ha il non facile compito di non deludere le aspettative sempre molto alte dei numerosi appassionati del suo Barbaresco.

Nel bicchiere si veste di un luminoso rosso granato.
Al naso il ventaglio olfattivo è quasi difficile da decifrare tante sono le diverse eleganti sfumature che questo vino riesce a produrre.
Si parte con le erbe aromatiche, il legno e il cuoio, per poi passare alla frutta nera cotta e ai fiori secchi, infine vira deciso verso una presenza minerale e fungina, mentre su il tutto è permeato dalla marcata espressione balsamica tipica del Barbaresco.
Se si pensa che dopo codesto inizio il palato potrà soltanto pareggiare quanto di già straordinario si è percepito al naso (o peggio se si pensa a un palato che non potrà reggere la complessità del naso) si rimane stupiti nell'entrare in un mondo fatto di tannini vellutati ma decisi a far percepire la loro presenza con il tipico pizzicore sulle gengive, a cui segue e si sovrappone la grazia dell'alcol e della glicerina, la precisa componente sapida e fresca e la intermittente scia minerale.
I sorsi si susseguono generosi in un crescendo di sensazioni tattili amplificate da tono e vigore, su un finale di lunghezza da maratoneta keniota alla olimpiadi.
Chapeaux e consiglio di abbinamento con formaggi stagionati, brasati e consimili delizie.






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