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IMPRESSIONI DAL VINITALY 2013


Sono stato come immagino molti di voi al Vinitaly e devo dire che l'impressione iniziale è stata subito quella di assistere ad un evento assolutamente in controtendenza rispetto alla crisi in atto nel nostro paese.

Del resto i numeri che sono stati comunicati dai vari istituti di ricerca parlano chiaro: a fronte di un importante calo interno si assiste ad un promettente aumento delle vendite all'estero di vino italiano.
Istituti di ricerca a parte mai come quest'anno si sono visti tanti buyer esteri al Vinitaly in cerca di aziende conosciute e anche di piccole realtà in forte crescita.

Il sistema vitivinicolo italiano, come si sa, è suddiviso in una miriade di piccole e medie aziende tra cui molte hanno raggiunto un livello di eccellenza produttiva che altri paesi difficilmente potranno eguagliare nei prossimi anni, compresi i nostri famosissimi cugini francesi.

L'estrema parcellizzazione delle aziende vitivinicole si presenta sia come un vantaggio, ad esempio per la valorizzazione dei vitigni autoctoni che non ha confronti con altri paesi, sia come uno svantaggio, nel momento in cui ci si presenta sul mercato internazionale.

Parlavo al Vinitaly con un piccolo produttore piemontese del Monferrato il quale è riuscito nel corso del tempo a estendere la commercializzazione del proprio vino a Giappone, New York, Londra e paesi del nord europa.
Ebbene pochi mesi fa ha dovuto rinunciare ad una vendita di vino nel Sol Levante perchè la quantità richiesta di bottiglie era così alta (per questo produttore) da esaurire quasi tutta la loro produzione di quel vino.
Lo stesso produttore sta trovando inoltre elevate difficoltà a comprare vigne intorno alla cantina per l'estrema  parcellizzazione dei proprietari unita alla consolidata ritrosia dei contadini piemontesi più anziani di separarsi dalla loro terra.

Il problema delle aziende italiane (e non solo quelle del vino) è che ognuno si promuove da se e come può.
Questa filosofia va bene fino a che si tratta di vendere vino in Italia, dove la complessa realtà dei territori e il nostro stretto rapporto con le tradizioni locali sono facilmente comprensibili dall'italiano consumatore di vino.
Se invece la stessa filosofia si cerca di applicarla al mercato internazionale e in particolare a nuovi mercati lontani dai nostri concetti e abitudini di consumo (vedi Cina) è difficilmente concepibile e francamente autolesionista.

L'incapacità di fare sistema è ovviamente legato dal nostro modo di fare impresa ma anche dal fatto che le istituzioni non aiutano. Ad esempio Francia, Cile e Australia hanno uffici di rappresentanza in Cina, precisi piani di marketing concordati a livello paese, ambasciate al servizio delle aziende.
L'Italia può invece contare su carichi fiscali esorbitanti e inutili complicazioni burocratiche (sic).

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